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Marco Chimini

Una mattina un giovane si sveglia e si rende conto che non sarà un campione di pallacanestro. Ha speso infinite ore in palestra, allenamenti con la squadra, individuali, sessioni di tiro, pomeriggi ad allenarsi con i pesi. E niente: manca un po’ di talento, 3 centimetri di altezza, o un po’ di fortuna. Ma questa presa di coscienza non porta sconforto, perché ne è valsa la pena. La pallacanestro è stata una scuola di vita, ha conosciuto amici ed esempi che lo hanno reso ció che è, e decide di rendere omaggio alla pallacanestro diventando allenatore. È un cammino lungo: formazioni estive, pianificazioni di allenamenti, stagioni in veste di vice allenatore. La Federazione Italiana della Pallacanestro (FIP), descrive cosí il percorso: “ Per diventare Allenatore Nazionale (il livello più alto) bisogna seguire un iter della durata di diversi anni, affrontando un peso non indifferente in termini di tempo e di spesa, con l’eventualità di essere ritenuti non idonei in qualche “step” valutativo.”1 Il giovane legge tutto questo, si rimbocca le maniche e comincia.

La stessa mattina un altro giovane si sveglia e si rende conto che vuole diventare professore. Maledette sono state le sue professoresse delle superiori di Letteratura e Filosofia, maledetto il suo professore di Inglese che gli hanno inculcato nella testa la bellezza di questo lavoro. Un lavoro che non porta gloria, non permette di fare una gran carriera, ma che romanticamente mantiene quella missione civile di formare i cittadini del domani. Ebbene questo giovane dovrá avere una laurea qualunque, e fare quattro esami di materie psico-pedagogiche per essere abilitato all’insegnamento. Da quel momento in poi potrà essere chiamato (in alcuni casi anche prima che abbia passato i quattro esami) come supplente, insegnante di sostegno, insomma per fare un po’ da “tappabuchi” in un sistema educativo che lascia molto da desiderare.

Questi due giovani sono, in realtá, lo stesso giovane. Mi resi conto, un paio d’anni fa, che mentre in Italia la professione dell’allenatore di pallacanestro, che io ritengo assolutamente importante per milioni di giovani che crescono amando lo sport, viene presa seriamente, la professione dell’insegnante, la figura che accompagna i giovani cittadini nel loro percorso introduttivo alla societá, prevede un tipo di formazione piuttosto limitato . Questo significa che gli strumenti che gli insegnanti hanno per gestire le situazioni sono le grida e le note sul libretto, sono i “vai fuori” e i “ti mando dalla preside”. Professori che tra l’altro sono molto spesso sottopagati in aule e scuole che cadono letteralmente a pezzi. La cronica mancanza di fondi non permette né una formazione adatta per i professori, né degli spazi adeguati all’insegnamento e all’apprendimento. E questa non è colpa degli insegnanti e non è colpa degli studenti, è colpa di un sistema che ha deciso che questa era la forma di educare le generazioni.

Questa situazione ha creato un divario sbalorditivo nell’opportunità educativa. Il sistema, carente di strumenti e strategie al passo con i tempi, risulta rigido e inflessibile. Gli alunni, o sono “fatti su misura” per il sistema, o hanno la fortuna di avere alle spalle una famiglia con risorse di tempo ed economiche; altrimenti, si vedono lasciati da parte, ignorati e rigurgitati dal sistema per finire, molto spesso, abbandonati dalla societá. E questo abbandono viene sperimentato spesso anche degli insegnanti, il cui lavoro non solo è sottopagato, ma anche sottovalutato e molto spesso comporta una complessitá tutt’altro che facile da gestire.

Ho incontrato Empieza por Educar, la versione spagnola di quello che sará Teach for Italy, grazie a un collega di un master che stavo frequentando a Barcellona. E la proposta è tanto semplice quanto rivoluzionaria: un professore deve ottenere una formazione almeno pari a quella di un allenatore di pallacanestro. Perché abbiamo il dovere morale di essere in grado di offrire a qualunque ragazzo e ragazza l’opportunità di vivere il sistema educativo. E viverlo significa che gli permetta di fare scelte di vita che li rendano felici. Il filosofo francese Rancière scrive che l’educazione deve avere come punto di partenza la convinzione dell’ uguaglianza dell’intelligenza . Tutti nasciamo con la stessa intelligenza, ma purtroppo questa intelligenza viene soppressa, “intontita” dal sistema educativo. E il nostro movimento crede che tutto questo deve finire. I giovani hanno il diritto di coltivare la loro intelligenza con il supporto degli insegnanti.

Detto questo, io passo le mie giornate in un Centro di Formazione Professionale a Madrid, con dei ragazzi che si sentono giá scartati dalla societá. Ogni giorno è un mondo, e nonostante la formazione continua a cui sono sottoposto, le sfide rimangono difficili. Perché gli esseri umani sono complessi e molto meno razionali di quel che si dice (soprattutto negli anni dell’adolescenza). Non c’è una formula magica, però perlomeno mi sento preparato, quasi come un allenatore di pallacanestro, per affrontare la sfida. Perché questi ragazzi possono cambiare il loro mondo, e abbiamo il dovere di aiutarli.